Appunti di studio per una prassi respiratoria adeguata alle esigenze del canto lirico
di Alessandro Patalini
In queste pagine vorrei produrre una sorta di “confronto incrociato” fra alcune delle tradizionali indicazioni della didattica del canto lirico riguardanti la respirazione e le cognizioni medico-scientifiche evidenziate dalla foniatria e dalla fisiologia generale.Il fine di questo lavoro sarà cercare di descrivere con chiarezza una prassi respiratoria capace di aiutare il cantante a gestire il flusso di aria espirata secondo i parametri di:
• fluidità
• economicità (massimo rendimento – minimo sforzo)
• prolungamento del tempo espiratorio rispetto alla espirazione istintiva
• bassa pressione del fiato espirato
Dovendo occuparci di una respirazione artistica e molto specializzata come quella del canto, può essere utile spendere qualche parola su quella naturale, che spesso subisce le conseguenze negative di ansia, problemi posturali e/o funzionali, indicazioni didattiche imprecise o addirittura errate.
La respirazione è costituita dalla scambio gassoso fra l’atmosfera e gli alveoli polmonari, e avviene grazie all’alternarsi all’interno della gabbia toracica di condizioni di depressione e pressione che danno luogo, rispettivamente, a inspirazione ed espirazione, e che, insieme, costituiscono il ciclo respiratorio.
Principale motore di questi movimenti alternati è il diaframma addominale.
Come dice il suo nome, esso ha il compito di separare (-framma da “frango”, in latino, “separo”) la zona toracica da quella addominale, ma insieme tenerle in contatto (dia- preposizione che in greco indica “per”, “attraverso”).
Esso è un muscolo a forma di cupola asimmetrica, formato da una parte muscolare periferica e da una centrale tendinea, chiamata centro frenico.
La parte muscolare è un insieme di sottili fibre digastriche la cui particolarità è di poter contrarre le loro estremità l’una indipendentemente dall’altra, rispetto ai tendini mediali, il cui intreccio costituisce il centro frenico. Nella parte muscolare si distinguono tre parti: vertebrale, o pilastri, costale, e sternale, così chiamate in base alla diversa inserzione ossea di ognuna di esse.
Nella inspirazione, il diaframma si contrae riducendo la sua superficie muscolare e abbassando il centro frenico, ciò produce la depressione intratoracica che richiama aria dall’esterno verso i polmoni. Questa contrazione può avvenire sia per impulso del sistema nervoso autonomo, come durante il sonno, sia per impulso volontario, come nel canto.
La contrazione inspiratoria del diaframma inizia dai pilastri, ovvero dalla parte vertebrale, che, grazie alla solida inserzione sulla colonna vertebrale e all’andamento quasi verticale delle proprie fibre ha, a parità di energia impiegata, un maggior effetto di abbassamento del centro frenico. Successivamente, la contrazione si estende in maniera progressiva, interessando le parti costale e sternale, fino a ottenere una contrazione completa di tutto il diaframma.
Il movimento di contrazione del diaframma produce una pressione sui visceri che, essendo incomprimibili, devono potersi spostare; ciò avviene in relazione al tono dei muscoli della parete addominale e del pavimento pelvico, che quindi, con la propria maggiore o minore rilassatezza, influenzano indirettamente l’ampiezza e la fluidità della contrazione inspiratoria del diaframma.
La espirazione istintiva è prodotta dal rilascio elastico della precedente contrazione inspiratoria su tutta la superficie del diaframma.
Riassumendo schematicamente possiamo dire che il ciclo respiratorio è così composto:
• inspirazione: movimento volontario di contrazione del diaframma che produce depressione intratoracica (l’aria entra nei polmoni) e pressione verso i visceri dell’addome contenuti dai muscoli addominali (la pancia si dilata),
• espirazione: movimento passivo di rilascio elastico del diaframma precedentemente contratto, che produce pressione intratoracica (i polmoni si svuotano) e depressione addominale (la pancia rientra).
Data l’istintiva naturalezza di questo ciclo, la fluidità e l’economicità (efficacia ed efficienza) sono assicurate, ma i tempi e la pressione espiratoria non corrispondono ai parametri indicati all’inizio, perché la durata dell’espirazione è molto breve e “per la maggior parte delle necessità canore, le forze di retrazione [date dal rilascio del diaframma, n.d.r.] provocano una pressione aerea sotto le corde che eccede ampiamente quella desiderabile per l’intensità del suono da emettere” .
Come migliorare questi due parametri senza compromettere quelli che rispondono già alle esigenze del canto? A ben vedere, la pressione dell’aria e la velocità dell’espirazione sono due effetti diversi dovuti alla medesima causa: essi dipendono dal rilascio dell’intero diaframma che spinge violentemente verso l’esterno tutta l’aria contenuta nei polmoni.
Per ovviare a ciò, è chiaro che bisogna rendere graduale il rilascio del diaframma, in modo da diminuire la quantità di aria che viene spinta da esso verso l’alto e fuori, ma, come detto precedentemente, il rilascio è un movimento passivo – elastico, e quindi non può essere controllato volontariamente, come invece avviene con la contrazione inspiratoria.
A tal fine, spesso si consiglia di “mantenere” il diaframma in “posizione” inspiratoria, anche se questo muscolo non può autonomamente assumere alcuna posizione fissa e stabile. Il mantenimento di una posizione ferma, infatti, può essere ottenuto soltanto opponendo alla contrazione del diaframma una contrazione della muscolatura addominale e perineale, che, irrigidendosi, impedisce ai visceri di spostarsi e, quindi, indirettamente, ostacola il diaframma nel suo movimento verso il basso. A questo punto, però, la fatica aumenta notevolmente e si perde uno dei vantaggi della respirazione naturale: la economicità della spesa energetica, rispondente ai principi di efficacia ed efficienza.
Altre volte si cerca di controllare la espirazione grazie all’intervento volontario dei muscoli intercostali che, tenendo allargata la base della gabbia toracica, stirano i margini esterni del diaframma, in modo da diminuire la pressione espiratoria. Normalmente la dilatazione delle costole avviene alla fine di una inspirazione completa in cui il diaframma ha esplicato interamente le sue possibilità di contrazione. La fluida relazione fra diaframma e visceri contenuti nell’addome, infatti, fa sì che quando la capacità di allungamento dei muscoli che contengono i visceri si esaurisce, il diaframma riceve da essi, sempre per interposizione dei visceri, una risposta elastica che ne limita una ulteriore contrazione. L’allargamento dei margini del diaframma avviene quindi in maniera passiva allorché l’addome ha esaurito la sua possibilità di dilatarsi permettendo la dislocazione dei visceri contenuti.
L’intervento volontario di tutti i muscoli inspiratori accessori , quali sono appunto anche gli intercostali, è giustificabile, invece, solo da ulteriori esigenze di approvvigionamento d’aria, ed è possibile solo se il diaframma si blocca in una posizione ferma contro la base offerta dall’addome irrigidito e utilizza i visceri come puleggia di riflessione .
In un certo senso si può dire che quando si utilizzano in funzione inspiratoria questi muscoli, che, va ricordato, si chiamano accessori perché destinati principalmente ad altre funzioni, la inspirazione diviene un atto paragonabile al camminare sulla verticale: si sollevano gambe e braccia (in questo caso il torace), solo dopo aver trovato una solida base (i visceri divenuti un blocco compatto per la contrazione degli addominali e del perineo) su cui appoggiare le mani (il diaframma) che si caricano di tutto il peso del resto del corpo perdendo gran parte della propria mobilità. È possibile, ma certo non fluido e a basso costo energetico!
Questa modalità di respirazione viene utilizzata istintivamente nel caso in cui non si riesca a muovere il diaframma per altre ragioni, come quando si ha lo stomaco pieno, una cintura molto stretta, o si provano emozioni molto forti. Oppure, per ragioni di statica e non respiratorie, nel caso in cui si usa il diaframma per stabilizzare il tronco, come quando si solleva un grosso peso o si compiono sforzi fisici molto intensi. In ogni caso, non dovrebbe essere la condizione in cui si trovano dei cantanti professionisti!
Con l’intervento degli intercostali, quindi, la spesa energetica aumenta, compromettendo la economicità della respirazione naturale. Inoltre è importante sottolineare che l’intervento degli inspiratori accessori segna una cesura nella inspirazione, che avviene in due parti: una prima e una dopo il blocco del diaframma. Ovviamente anche la espirazione, che nasce dal rilascio della contrazione inspiratoria ed è da essa profondamente condizionata , avviene nello stesso modo, ovvero prima e dopo il rilascio del diaframma, alterando la fluidità della espirazione.
Questa cesura nel flusso espiratorio dà spesso al cantante che ha espirato l’aria precedentemente incamerata con l’intervento dei muscoli accessori, la sensazione di essere arrivato a fine fiato, ma in realtà non è così, perché resta ancora da espirare l’aria incamerata con la contrazione diaframmatica. In questo caso, se il cantante non ha tempo di fare una pausa per svuotarsi completamente, rilasciando anche il diaframma, quest’ultimo rimane bloccato e la successiva inspirazione avviene soltanto con i muscoli accessori. Nel giro di pochi cicli respiratori il cantante si trova “ingolfato” perché non riesce mai ad espirare del tutto, e inoltre affaticato, perché il diaframma e gli addominali sono costantemente contratti e l’uso di una muscolatura accessoria, e quindi destinata principalmente ad altri usi, ha un “costo” maggiore rispetto all’uso di quella principale che nella respirazione naturale, è del solo diaframma.
Quanto agli altri muscoli inspiratori accessori, va inoltre considerato che il loro intervento inspiratorio avviene a scapito della loro funzione principale, che è quella di muovere la nuca, la testa e le spalle . Nel canto lirico, invece, la mobilità di questi muscoli è di fondamentale importanza perché essi determinano l’ampiezza delle cavità di risonanza, producono l’ampia gestualità necessaria allo spazio teatrale. È per questo che chi respira affidandosi frequentemente ai muscoli accessori, oltre ad essere facilmente a corto di fiato, ha spesso una voce “indietro” o “stretta” ed una postura tendenzialmente rigida ed impacciata.
Anche dal punto di vista fisiologico generale tale prassi inspiratoria ha delle controindicazioni, perché, se adottata con frequenza, fa sì che .
L’accorciamento del diaframma è dunque causa ed effetto del costante ricorso agli inspiratori accessori, con squilibri nelle dinamiche di scambio (il volume d’aria inspirata grazie alla sola contrazione del diaframma tende progressivamente a diminuire) e nella postura lombare .
Va considerato, poi, che una accentuata azione depressorio – inspiratoria del diaframma e degli intercostali fa sì che la espirazione (indispensabile al canto) risulti dall’attività dei muscoli addominali e perineali che, contraendosi, premono sui visceri e di conseguenza sul diaframma e sui polmoni. Questo sistema riesce sì ad impedire inizialmente il completo rilascio del diaframma, allungando il tempo della espirazione, ma finisce per aumentare notevolmente la pressione del fiato espirato.
Da quanto detto, allora, per controllare il rilascio del diaframma e il suo effetto pressorio sul fiato, si dovrebbe cercare di ottenere una corretta gestione del fiato con la sola azione volontaria del diaframma senza giungere a bloccarlo con il ricorso ai muscoli inspiratori accessori, e con l’intervento antagonistico degli addominali.
È fisiologicamente possibile? La risposta scaturita da questo studio è sì.
Il controllo della espirazione secondo i parametri indicati, infatti, si può ottenere utilizzando le caratteristiche anatomico – funzionali delle fibre digastriche che compongono i diaframma e di cui si è parlato sopra, ovvero quella di poter muovere i loro due estremi l’uno indipendentemente dall’altro, cosa che permette al diaframma di contrarsi in una sua parte e allo stesso tempo decontrarsi nella parte simmetricamente opposta.
In tal modo il rilascio muscolare del diaframma, che produce la pressione espiratoria, può avvenire in una sola parte, mentre la parte opposta e simmetrica ad essa continua a produrre depressione inspiratoria: il risultato finale, ovvero se si inspira o si espira, dipenderà solo dal prevalere dell’una o dell’altra.
Dato che una inspirazione completa e profonda inizia dalla parte vertebrale e finisce su quella sternale, la espirazione conseguente avverrà rilasciando inizialmente la sola parte sternale, poi quella costale, finendo con i pilastri, come un’onda che si ritira allo stesso modo con cui è giunta alla spiaggia, fluidamente, pur con direzione inversa.
Il tutto, quindi, senza che l’intero muscolo si blocchi mai, ovvero mentre le parti non ancora rilassate proseguono un leggero movimento di contrazione che produce una depressione capace di controbilanciare la pressione espiratoria. In questo caso le costole fluttuanti mantengono sì una posizione allargata, ma congrua all’attività del diaframma e alla sua fluida relazione con i visceri, e non con un allargamento volontario che rischia invece di alterare i parametri di economicità, fluidità e bassa pressione espiratoria.
I pilastri, che, come detto, sono i primi a contrarsi, saranno gli ultimi a rilasciarsi e sono in questo tipo di espirazione la parte del diaframma più sollecitata in contrazione. Ciò, ripetiamo, è adeguato alla loro solida inserzione sul rachide e all’ottimale rapporto fra l’energia impiegata e la depressione prodotta. Data la relazione del diaframma con i visceri e i muscoli che li contengono, la continua e prolungata, anche se leggera, attività di contrazione dei pilastri non può prescindere né dalla collaborazione attiva dei muscoli che insieme ad essi formano la catena lombo – sacrale, né dal rilassamento del perineo, che contiene i visceri che detta catena deve poter dislocare nella sua attività.
Inoltre, una pur minima dislocazione dei visceri verso il basso, permessa dal rilassamento del diaframma pelvico, assecondando l’attrazione della gravità terrestre, potenzia in maniera passiva l’attività depressoria dei pilastri, aumentandone la capacità di bilanciamento sulla pressione espiratoria.
Gli effetti pressori del rilassamento del diaframma addominale vengono quindi bilanciati in maniera attiva e volontaria dalla depressione prodotta dalla contrazione della parte vertebrale e in maniera passiva dal rilassamento del perineo, movimenti entrambi volontari e controllabili, a differenza della decontrazione elastica del diaframma che non è controllabile.
La pressione espiratoria finale risulterà dalla:
• pressione che verrebbe prodotta dal rilassamento elastico dell’intero diaframma,
MENO
• la depressione prodotta volontariamente dalla contrazione di una parte del diaframma
• la depressione prodotta passivamente dal rilassamento del diaframma pelvico.
Lo sforzo muscolare globale corrisponderà a:
• Lo sforzo, pari a zero, del rilassamento completo del diaframma,
PIÙ
• lo sforzo di contrazione della parte del diaframma ancora in attività.
La propriocezione di questo complesso di movimenti è quella di
? profondo rilassamento
? volontaria attività della catena muscolare posteriore (concentrato soprattutto a livello lombare)
? progressivo e completo rientro dell’addome, a cominciare dalla zona epigastrica
? espirazione libera da contrazioni a livello dello sfintere gastrico e di quello laringeo
? controllo delle dinamiche pressorie a seconda delle esigenze
? scarico della fatica in assecondamento della gravità terrestre
? libera naturalezza associata a cosciente controllabilità per la contemporanea presenza sul medesimo muscolo di un rilascio elastico ed una azione volontaria
Richiamando le premesse iniziali, questa espirazione risulta adeguata alle esigenze di:
1. Fluidità, data dal mantenimento di una relazione dinamica fra i movimenti del diaframma, sia attivi che passivi, con i visceri e i muscoli addominali,
2. Economicità (massimo rendimento – minimo sforzo) per l’attività di una parte sempre minore del diaframma, senza lo sforzo causato dall’intervento di altri muscoli,
3. Bassa Pressione sottoglottica per la depressione esercitata volontariamente dalla contrazione diaframmatica e passivamente dal rilassamento del diaframma
pelvico,
4. Allungamento del tempo espiratorio, effetto conseguente alla bassa pressione espiratoria.
Si diceva che tutto ciò deve poter aiutare il cantante lirico a gestire la respirazione coscientemente, in modo che la “fornitura” del materiale necessario alla fonazione, costituito dal flusso del fiato espirato, sia al riparo dallo stress connesso ad ogni prestazione artistica, e possa anzi costituire un solido punto di sicurezza professionale e tranquillità emotiva. In questa prospettiva la ricerca pratica, condotta su allievi a vari livelli di preparazione, ha permesso di evidenziare alcuni semplici esercizi che guidano il cantante a:
1. Propriocezione dei movimenti di contrazione / decontrazione delle varie parti del diaframma addominale, loro relazione con i visceri e la muscolatura addominale, effetti sul flusso di aria espirata.
2. Gestione volontaria e cosciente delle dinamiche pressoria / depressoria, grazie al controllo dei movimenti muscolari che le generano.
3. Utilizzo dei movimenti muscolari connessi alla dinamica depressoria anche durante la espirazione, al fine di produrre un bilanciamento fluido e cosciente degli effetti pressori generati dalla dinamica espiratoria passiva.
Per ottenere ciò può essere necessario dover riscoprire una “modalità fisiologica eventualmente dimenticata, sottoutilizzata, sbilanciata o pervertita” da un uso inconsapevole o scorretto . Il percorso di apprendimento di una tecnica respiratoria, è quindi intimamente connesso, quando non addirittura coincidente, con un percorso di approfondimento propriocettivo, grazie al quale il cantante esperisce direttamente su di sé gli effetti delle proprie prassi respiratorie, senza dover pensare, almeno inizialmente, al loro rapporto con la fonazione.
I disequilibri della respirazione, infatti, derivano spesso dal fatto che già prima di respirare, l’attenzione del cantante è dedicata interamente all’emissione vocale, trascurando che è l’equilibrio delle azioni che precedono il suono, principalmente quelle della respirazione, a porre le condizioni per una fonazione corretta. Da ciò spesso deriva la istintiva ed erronea convinzione che per cantare sia necessaria solo una grande quantità di aria, mentre invece essa > , cosa che conduce facilmente all’errore di .
Se l’esercizio della vocalità avviene in una fase successiva all’apprendimento di una tecnica di base della gestione del fiato, molte delle difficoltà vocali del giovane cantante possono essere superate più facilmente e velocemente, o addirittura evitate, poiché la tecnica respiratoria libera la voce da problemi che non dipendono dalla fonazione in sé, ma dagli effetti del fiato su di essa.
In cantanti già esperti, inoltre, un corretto allenamento alla gestione del fiato produce importanti effetti sulla libertà e fluidità dell’emissione canora, soprattutto in quelle funzioni fonatorie che prevedono un significativo allungamento e assottigliamento delle corde vocali (acuti, picchettati, agilità, messa di voce, filati) per i quali il controllo della pressione sottoglottica risulta essenziale.